sabato 25 febbraio 2012

I politici italiani ed i monaci di Cluny.

Una vecchia stampa della Abbazia
Tanto tempo fa,a Cluny in Borgogna, se non erro nella Francia orientale, c'era una grande Abbazia, che poi l'incuria umana distrusse nel tempo, privandoci di una splendida e maestosa dimora monastica e di una biblioteca fra le più importanti d'Europa. Bene, a quel tempo, i monaci cluniacensi ebbero la felice idea di darsi delle regole proprie o per lo meno ammorbidire quelle che c'erano. E si dotarono al tempo di regole più morbide, rispetto a quelle dettate da Benedetto da Norcia, ritenute troppo rigide, evidentemente. Ed allora il famoso"ora et labora" benedettino divenne "ora et basta".
Loro, i monaci, dopo la sveglia data dal suono della campana nelle primissime ore del mattino, alle due, si riunivano in una delle chiese dell'Abbazia e sino alle cinque del pomeriggio, intonavano circa un centinaio, o forse più, salmi, lasciando alla servitù ed ai contadini i lavori manuali e della terra. Insomma, i contadini dovevavo anche provvedere non solo al proprio sostentamento, ma anche a quello dei monaci, che intanto cantavano. Ma le terre erano dei monaci, ed allora: o lavori caro contadino, o non mangi.Il tutto accadeva dal '900 a seguire.
Trasposizione nel futuro. Arriviamo al giorno d'oggi. 
Un pò, direi, quello che passa nella politica italiana da un pò di tempo a questa parte. Loro, i politici, senza abiti monastici; si riuniscono per ore ed ore, a parlare a discutere e quindi decidere, e imporre. Democraticamente. Al popolo, il compito di lavorare e produrre. Di inventarsi il lavoro, quando non esiste.Loro, i politici, non si svegliano mai alle due, come i vecchi monaci; a quell'ora, caso mai vanno a coricarsi, dopo aver discusso per ore, per offrire saggezza ed opportunità  per la nazione. E regole.  E sacrifici. Costantemente.
Come dire, il sacrificio del povero per il benessere del ricco.Per loro, i politici, val bene una deformazione del detto benedettino "ora" che tutto vada bene, e poi aggiungo il "basta" clunaciense.
Insomma non sempre l'abito fa il monaco, ma lo rende pur sempre un uomo di chiesa. E, forse, qui sta l'equivoco.


venerdì 17 febbraio 2012

IL VENERDI' LETTERARIO. Quando gli emigrati parlavano il "Cocoliche"


I "conventillos" di Buenos Aires
A Buenos Aires, nella lontana terra d'Argentina, era diventata una moda. Parlare il "cocoliche" era divertente. Chissà,cosa avrà pensato Cocolicchio, emigrato calabrese, arrivato dall'altra sponda dell'Atlantico in cerca di fortuna, quando apprese nel corso della sua permanenza, che il suo modo di parlare faceva sorridere e dava luogo ad ironia.E già, il nostro emigrato si sforzava di parlare il "castellano", ma proprio non ci riusciva nei suoi primi tempi a Buenos Aires, ed allora mischiava lo spagnolo con il dialetto calabrese. Pensate un pò, cosa ne venne fuori. Intanto, era una cosa che faceva anche sorridere, perchè alcune parole storpiate del suo nuovo "idioma" avevano tutt'altro significato. Ricodo di aver letto alcuni anni fa, mentre sorseggiavo un "mate" in casa di amici in Suipacha, lunga arteria della città ciò che scrisse Gonzalez Arrili, a proposito del Cocoliche, trasformazione ed identificazione del linguaggio del nostro caro Cocolicchio:"...egli lavorava in un circo e portava sulla testa un grande cappello e una camicia a grandi quadroni colorati, aveva un paio di baffi, modellati con l'acqua che terminavano ai lati con due grandi cerchi neri di esemplare rotondità....era un manuale non traducibile di una miriade di parole del suo dialetto mischiate al castellano".
Insomma, lui cercava con questo linguaggio di farsi immediatamente comprendere sul lavoro e nella vita quotidiana, in un almacen  (negozio di generi alimentari) o ai mercati cittadini,nei cafè o nelle calles  ( le vie) della città.Bisogna, ovviamente, comprendere che proveniva da una realtà misera, e spesso era quasi analfabeta; però aveva dignità, umiltà, spirito di sacrificio e voglia di lavorare. Fu anche trasportato nel teatro comico argentino, ed ebbe appunto successo, rappresentato com'era,nella sua immagine, nella descrizione che ho fatto prima.
In un momento teatrale , un attore argentino dell'epoca, credo siano i primi anni del '900, di nome Petray, che sembra avesse grande facilità a interpretare nella imitazione, gli emigrati italiani "acriollados" ,cioè resisi criollos, ovvero del luogo, raccontava: " Adiós amigo Cocoliche, de donde sale tan empilchao (bien vestido)? La risposta fu : Vengue dede la Petagoña co este parejiere macanuto, amique!
Certo che un qualcosa il nostro Cocolicchio lo lasciò;tuttora, nel lunfardo, diciamo così, il dialetto di Buenos Aires, diverse parole sono rimaste identiche e quindi invece di dire: vamos a trabajar ( andiamo a lavorare ) si dice vamos a laburar. Oppure  gambetear (schivare) o yeta, nel senso di gettare; questo è solo un esempio, questo , ovviamente.L'integrazione,anche letteraria, avvenne nel tempo,magari i suoi figli e quelli di altri emigrati della sua generazione, mentre prima sorridevano e scherzosamente sbeffeggiavano i loro genitori, poi dovettero adeguarsi a usare termini di quel linguaggio che tale Cocolicchio, a volte deriso e ironicamente preso in giro, aveva involontariamente coniato. Ed allora anche lì, smisero di ridere di quella grande camicia a quadroni colorati, perchè deriderlo, significava deridere se stessi, visto che in certi termini, usavano lo stesso linguaggio. Cocolicchio, insomma, vive ancora nelle strade di Buenos Aires.

giovedì 16 febbraio 2012

Rai Internazionale? Non ci sono soldi e per il desolante show di Sanremo?

E' tutto virtuoso, oggidì, cari amici.Tutto virtuoso, compreso questa nuova edizione di Sanremo, che ci riporta indietro nel tempo, mostrando il lato desolante di artisti, che farebbero bene a deporre le armi e vivere una buona pensione. Dopo lo show di un Celentano, che ha mostrato il lato peggiore di se e della sua conoscenza delle cose della vita quotidiana, la riflessione su questo presunto Festival della canzone italiana, è necessaria, soprattutto in virtù di quanto accaduto due mesi fa alla Rai, il cui consiglio di amministrazione, ha pensato bene che, siccome manacano soldi, magari sperperati in anni di vacche grasse, ha pensato bene di chiudere la finestra agli italiani sparsi nel mondo. Concretando di fatto la chiusura di Rai Internazionale e dei suoi programmi autoprodotti, che poi erano il tutto, cioè quello che gli italiani all'estero desiderano. Dunque, il Festival: ma che Festival e Festival, avrebbe detto il buon Totò, guardando lo scempio di ciò che accade nell'Ariston! Da anni , ormai, Sanremo non esiste più, nonostante gli sforzi per mantenerlo. Ma è logico pensare che per mantenere un festival, non bastano più le canzoni o canzonette, come dir si voglia, visto che sfido chiunque a dirmi chi ha vinto Sanremo negli ultimi anni.No, le canzoni non bastano più, visto che l'organizzazione si affanna a cercare ospiti nazionali o internazionali, visto che ha bisogno delle grazie nascoste di Belen che in Argentina , suo paese d'origine , non conosce nessuno, visto che ha bisogno di monologhi sconclusionati come quello della prima sera.Di tutto ha bisogno per fare audience, tranne delle canzoni. E lo chiamano Festival. Ma Festival di chè. In virtù anche di queste spese e di quattro o cinque giorni di pieno televisivo ( infondo alla Rai serve solo questo e come non averlo visto il battage pubblicitario fatto nell'ultimo mese), per gli italiani sparsi nel mondo, grande ricchezza di un tempo che fu e comunque grande ricchezza attuale, scrigno prezioso di quegli usi, costumi e tradizioni, che la supposta modernità italiana, ha ben pensnto di lasciare nel dimenticatoio; non c'è più posto. Quella loro finestra andava chiusa e così è stato! Con buona pace di tutti. I soldi servono per le star, per amici e compari, servono per dar voce a molte sciocchezze, servono per farsi conoscere, per diventar famosi. Quel che si dice non importa. Ah! Caro maestro Manzi, quanto saresti stato utile al giorno d'oggi.Cari amici italiani che vivete fuori e lontani dall'Italia. Continuate ad amare una patria che non vi è grata, in molti aspetti, e continuate a sognare quella finestra aperta e poi chiusa per farvi sognare.
 Nihil est magnum somnianti. Niente è straordinario a coloro che sognano.Fidatevi, lo disse Cicerone. Uno, che non parlava mai per dire sciocchezze.

lunedì 13 febbraio 2012

Cetraro e la Faini, il racconto di un inviato de La Stampa di Torino nel 1958

Fu per lui una vera sorpresa. L'inviato del quotidiano La Stampa, di Torino, che scese giù in Calabria, nell'Italia che stava risorgendo dalle ceneri della guerra, per verificare quel miracolo economico che seppe essere la fabbrica tessile FAINI, capì ben presto, che seppur venendo da mondi diversi da quell'industria, la creatività, l'operosità delle lavoratrici e dei lavoratori della Faini, conquistò ben presto il mercato. Ecco qualche stralcio di ciò che scrisse il 9 marzo 1958.
L'articolo su La Stampa del marzo 1958
".....La nuova fabbrica che ospita circa quaranta grandi macchine ultimo modello, provenienti persino da Londra e dagli Stati Uniti, ha provocato in un piccolo mondo fermo alla zappa ed al somaro, un urto che rappresenta al vivo, un esempio del movimento del Mezzogiorno, dopo un ristagno immemorabile........scendendo verso Cetraro, si scopre un paesaggio incantevole,una sequenza di vaste insenature sabbiose con rocce sanguigne a picco sul mare.....Cetraro è una rupe alta centro metri sul mare.....entro nella fabbrica, un frastuono lacerante mi impedisce di parlare.Mi si offre allo sguardo un panorama di lavoratrici meridionali, alle prese con i telai in movimento.Fino a qualche tempo fa queste giovani donne erano contadine...... ora le osservo attentamente, svolgono un lavoro di grande precisione. Mani agilissime volano da un fuso all'altro....un ragazza di forse diciottanni accanto ad una cucitrice elettrica che si manovra a colpi di pedale,attacca dei bottoni infilandoli uno dietro l'altro con una velocità che mi sembra vertiginosa, senza interrompersi mai......C'è qualcosa di commovente nel vedere centinaia di giovani donne con il sembiante contadino alle prese con queste macchine urlanti....hanno sul capo trecce nere....eppure si nota che non sono più contadine...una trasformazione tanto più sorprendente se si pensa al punto di partenza....abbandonando i vecchi scialli le giovani donne assumono vestiti dall'aria cittadina che costituisce motivo di ammirazione per tutto il paese.....
.......l'impianto della fabbrica ha avuto evidenti ripercussioni materiali su Cetraro. Il paese rapidamente si è trasformato.Prima c'era una sola auto per i servizi pubblici, adesso ce ne sono 4 o 5. Il cinema era aperto una sola volta a settimana , ora apre tutte le sere.In breve volgere di tempo si sono moltiplicati i negozi.....molti tetti hanno inalberato l'antenna televisiva....si è allargato il panorama degli acquisti........ a Cetraro, insomma si è visto un risultato assai confortevole......mi avvicino ad un gruppo di operai, in tuta blu, alcuni anni fa erano contadini, fuori dal mondo moderno. Adesso sono specialisti del loro mestiere.Conversando con loro apprendo una novità che mi sembra significativa. Fra qualche giorno alcuni di loro partiranno per il Canada,dove la ditta tessile sta aprendo un nuovo stabilimento.Il loro compito sarà quello di istruire le maestranze canadesi.Un progresso rapido per chi come loro proviene dal bosco."
Questo, è uno spaccato di memoria del nostro tempo che fu.

domenica 12 febbraio 2012

MEMORIE DI UN TEMPO : Rosario, deportato a Mauthausen.

Tratto dal mio libro Tante navi tante storie, il racconto di Rosario,calabrese , deportato nel campo di concentramento di Mauthausen in Austria.

"........Rosario? Ebbe una vita movimentata. Direi senza esagerare, molto movimentata e anche poco conosciuta. La guerra prima, i lunghi anni della guerra e le tante peripezie vissute, e il lavoro qui in Argentina poilui, durante la guerra faceva l’autista, o per dirla nel gergo militare, l’autiere. Sembra che sia stato anche il “chofer” , come si dice qui a Buenos Aires, ovvero l’autista, di Mussolini, in quegli anni.
La sua, è una storia ricca di emozioni. Poi, fu autista anche di un grande nome del giornalismo italiano, un inviato di guerra, il più famoso del tempo:Lamberti Sorrentino. Con lui andò al fronte, in Russia. E poi, entrambi, finirono in un campo di concentramento.
A Mauthausen!
Il momento della liberazione nel 1945
Rosario e Lamberti, due vite diverse,ma un comune destino: il terribile Mauthausen - Gusen.Questo, il nome dato ad un gruppo di quarantanove campi e sottocampi di concentramento dei nazisti, situati nei pressi della piccola cittadina di Mauthausen, nell'Alta Austria a circa 20 chilometri da Linz.Mauthausen era stato indicato dal Obergruppenfuhrer delle SS come lager di terzo grado.Il peggiore! 
In questo campo, ci finirono tutti e due: Rosario e Lamberti.Lo stesso Sorrentino,nel suo libro “Sognare a Mauthausen”, racconta le vicende vissute in questo campo. E, le cose incredibili accadute.Sorrentino, fu un grande inviato di guerra. Uno di quelli che il fronte lo videro per davvero, in molte zone del mondo. Fu al seguito di D’Annunzio nell’impresa di Fiume, fece rischiosi viaggi in Argentina e Brasile,per queste sue peregrinazioni in sudamerica lo chiamarono “ Il pampero”, a Buenos Aires diresse anche due giornali in lingua italiana: la Patria e Il Mattino.Era inviato di guerra de, Il Tempo di Roma, quando i tedeschi lo catturarono a Budapest.
A loro,ai tedeschi, non erano piaciuti alcuni articoli che Sorrentino scrisse, prevedendo forse, la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale.Campano, di Sala Consilina, Sorrentino, che era anche tenente dell’esercito,a cui era stato assegnato proprio Rosario come autista, prevedeva che prima o poi, i nazisti lo avrebbero messo dentro.Fu così che avvertì Rosario, cui lo legava già, un rapporto di amicizia:
-Rosario, presentati alla Legazione Fascista, ti daranno un foglio di viaggio da Budapest a Roma.Se continui a visitarmi ogni mattina ti pigliano per badoglista, e ti metti nei guai. Ascolta il mio consiglio:squaglia!”
Rosario non se la squagliò, e qualche giorno dopo, le SS li misero con le mani al muro. Entrambi.
Rosario: - Commendatò ! - come usava chiamare Sorrentino – Se lo avessi saputo!-
Fu in quel momento, che iniziò la storia, che Lamberti Sorrentino, poi, trent’anni dopo, raccontò.
I due, prima vennero portati nella prigione di Lanzendorf, piccolo comune della bassa Austria. Poi, qualche giorno dopo , insieme ad altri prigionieri, a Mauthausen.
Qui, c’era di tutto e di ogni parte. Tedeschi, polacchi, ebrei, spagnoli, russi e italiani.
Rosario, finì presto al magazzino vestiario. Un posto niente male, rispetto ad altri. Lì, avrebbe goduto di un minimo senso di libertà.
E gli altri posti? Quali erano, che c’era di terribile in quel Campo?
Glielo spiegarono bene. Fin troppo bene, visto che Rosario di corsa ringraziò la” Madonna del Carmine”.
Gli avevano parlato delle famose cave di pietra di Mauthausen. E, degli ancora più famosi 186 gradini, che i detenuti dovevano salire con blocchi di pietra pesantissimi, sino alla cima.
Alla cave, indirizzavano i preti, gli intellettuali, gli artisti. Era il Kommando peggiore.
A Sorrentino, infatti, avevano consigliato di non dire che Rosario era sua autista:
“Vi separerebbero subito. Se Marasco è meccanico , potrebbero inviarlo al reparto dei Mechaniker,anche quello un commando diciamo buono”.
“Io vado con lui, siamo insieme da tre anni” aggiunse Rosario.
“Nemmeno questo devi dire” fu la risposta che gli diedero.
“Potrebbero pensare che siete coppia fissa, sposati.”
Rosario, sobbalzò, ferito nell’orgoglio di uomo del sud.
“Madonna del Carmine, commendatò, e a noi che piacciono le donne!”.
Sorrentino, raccontò anche questo, nel libro.
Furono ben contenti, insomma, Rosario e Lamberti, di essere in posti migliori. Come soldato del Corpo Automobilistico, Rosario conobbe Lamberti Sorrentino, nell’agosto del 1941.
Scrive, Sorrentino, ancora in “Sognare a Mauthausen”:
Rosario: “ Mi hanno mandato a voi d’urgenza:il sergente Cesano dice che è arrivato un fonogramma del Comando di Tappa di Vienna, con il mio nome, e debbo mettermi al vostro servizio come autista,subito.”
- Come ti chiami e di dove sei?-gli chiede Sorrentino- mi diede la sua bassa di passaggio. Lessi: Rosario Marasco, venticinquenne, autiere, nativo di Cetraro, assegnato al servizio esclusivo del tenente Sorrentino signor Lamberti, corrispondente di guerra del settimanale Tempo-
Cetraro, in provincia di Cosenza, e io sono di Sala Consilina, quindi siamo vicini. Ma dimmi, tu eri già autista quando fosti chiamata alle armi?”
Rosario: “ Eh, guidavo automobili, camion, anche la corriera da Cetraro a Cosenza, qualche volta fino a Reggio. La conoscete la strada per Reggio? Madonna quante curve, discese e salite! Le corriere erano così piene, che mi toccava caricare anche persone in piedi, femmine incinte, bambini. Bè, ci credete? In tre anni di lavoro non ho avuto un incidente, nemmeno un parafango ammaccato.”
Gli dissi: “ Sai Rosario, se lavori con me, da oggi non prendi più la cinquina, sarai sempre in trasferta,e,con l’assegno che ti darò io, guadagnerai mille lire al mese.
-Mille lire?-
-Anche di più. Non mangerai più il rancio, ai tuoi pasti penserò io. Niente più orario di caserma,né più tromba per la sveglia la mattina ,né ritirata la sera!Avrai un permesso permanente in tasca e potrai girare anche di notte.Potrai vestire in borghese, in città. Vestirai la divisa quando sono in servizio. Mangerai il rancio solo quando saremo al fronte…-
- Al fronte?…rimandatemi in caserma!-
Rosario, aveva paura del fronte.
L’amicizia fra i due, si consolidò, durante il tempo della prigionia nel campo .Una prigionia, che durò, sino a quando arrivarono nel campo gli americani. Le SS erano già fuggite.I due, ripartirono da Mauthausen insieme.Poi, dopo tanto tempo, Sorrentino, scrisse questo libro sul campo di concentramento. Personaggio di spicco del libro, fu proprio lui, Rosario, che era uno dei più benvoluti in tutto il campo, essendo riuscito a diventare amico di tutti.
Tant’è che, quando Sorrentino  inviò una copia del suo libro al suo amico, scrisse questa dedica, che ho avuto l’opportunità di leggere:
“A Rosario Marasco,personaggio più ammirato di questo libro, e il più buono e generoso di tutti a Mauthausen. Con amicizia imperitura, il tuo affezionato Lamberti.”

venerdì 10 febbraio 2012

10 Febbraio 2012 - IL VENERDI' LETTERARIO. Oggi scriviamo di... "Gente calderaia" il libro di Franco Michele Greco

Una vecchia foto tratta dal libro
Un libro che ci porta indietro nel tempo, non remotissimo,ma abbastanza, per voler a volte ritornare a vivere quelle emozioni che il tempo antico sapeva dare. Franco Michele Greco,calabrese, nato in quella grande periferia urbana di Buenos Aires, terra densa di emigrati calabresi, e che ora vive a Dipignano,ha voluto scavare nella memoria di un mestiere antico, per darci quelle sensazioni dolci del passato. Ha voluto scavare nella memoria, ricordando ciò che fece suo padre:lavorare il rame.Un bel tuffo,in quella comunità di un piccolo paese dell'entroterra cosentino, Dipignano, ricca di "calderai" , mani sapienti, che hanno saputo lasciare, tramandati da padre in figlio, una nobile tradizione artigiana. Ed è proprio agli artigiani del rame che Greco si rivolge, per capire e poi raccontare il loro lavoro quotidiano, in un incedere del tempo che va dal mattino a notte fonda, quando la giornata di lavoro termina e le piccole botteghe vengono chiuse, in attesa del domani, di un'altra giornata di fatica. L'autore scorre il tempo, raccontando l'antica arte della lavorazione del rame dagli albori sino a tempi più prossimi ai nostri. Una unicità dei lavori in rame di Dipignano, conosciuta in tutto il meridione,per cui andava famosa la cittadina. La memoria "calderaia" di questo paesino calabrese, è ancora viva, anche se ridimensionata nella sua importanza, e qui il grido dell'autore, che non vuole dimenticare e non vuole che si dimentichino queste tradizioni, gli usi, di questo angolo di terra calabra. Ne ha ben donde, sarebbe opportuno leggere questo libro, corredato da numerose foto, che illustrano lavori e uomini di un tempo passato. Tutta l'anima e con essa il sentimento nobile di Franco Michele Greco, viene fuori in questo suo lavoro letterario. Ricordando la figura simbolo della sua memoria e di questa arte antica.Suo padre. Colui che ha segnato con l'esempio, un solco nella vita e nella dimensione dell'autore. Leggetelo, come ho fatto io, questo libro, ve lo consiglio. La memoria, ha una sua dimensione che non possiamo e non dobbiamo perdere, per non ritrovarci un giorno più o meno lontano, vuoti.

venerdì 3 febbraio 2012

3 Febbraio 2012 - IL VENERDI' LETTERARIO. Oggi scriviamo di..."CAPITANI DI UN TEMPO"

Simone Gulì
Lasciamo stare Achab,personaggio creato da Melville , lì, entriamo nella leggenda, la riflessione oggi nasce spontanea, seguendo le innumerevoli notizie e le molteplici considerazioni che spesso spettacolarizzano la nostra informazione quotidiana. Capitani di un tempo , allora, ed il riferimento è ovvio, a quanto accaduto recentemente alla Concordia ed al suo comandante, nella disavventura del naufragio e il naufragio del piroscafo Principessa Mafalda con la morte del suo comandante Simone Gulì. Questo tema, che ho trattato nel mio libro più recente, che narra proprio il viaggio di questa nave passeggeri, vanto della Marina Mercantile italiana, nel suo viaggio da Genova , verso Buenos Aires, sembra diventato improvvisamente attuale. Chi era costui? Un marittimo, figlio di marittimi siciliani, emigrati a San Giorgio a Cremano, per stare vicino Napoli che in quell'epoca era porto di grandi partenze, verso altri mondi, al di là dell'Atlantico. Un vecchio lupo di mare, si potrebbe dire al giorno d'oggi. Ma soprattutto un uomo vero che pagò con la vita la disavventura della sua nave tanto amata. Quel Principessa Mafalda, che dopo diciotto anni di navigazioni oceaniche,avrebbe dovuto compiere il suo ultimo viaggio prima della pensione. Non fu così, non ne ebbe il tempo questo gigante del mare, che vide interrotto il suo viaggio nello sperduto Atlantico e nelle sue notti. Gulì, sapeva che questa nave, aveva difetti, ne aveva parlato prima della partenza, voleva rimandare il viaggio. Non ci riuscì, obbedì a chi di dovere. E partì. Accadde quel che accadde e Gulì, non scappò, non si rifugiò su scialuppe o navi amiche giunte in soccorso. No, Gulì restò a bordo, fece scendere tutti; fece quel che doveva fare, quello che la sua coscienza di uomo di mare e Comandante, gli imponeva. Ma deve aver pensato che non era imposizione, era coscienza. Di onori e oneri di un comandante.Quella era la prova vera, ardua che delimita l'uomo che ha coraggio dall'uomo che ha paura, che si defila,che scappa. Scrissi nel libro Il naufragio previsto: ".....nella mente di Gulì balenavano mille pensieri, il senso di colpa per quel viaggio che non avrebbe dovuto fare le urla dei passeggeri.....ritornarono nella sua mente i tanti anni di mare e di cielo, di tempeste, bufere di onde battenti imperiose sui lati della nave...le partenze e gli arrivi dai e nei porti di mezzo mondo....propio il suo oceano stava per inghiottirlo...le leggi del mare sono queste pensò Gulì, un marinaio vero, un  comandante, affonda con la sua nave".
In fondo quella era la sua vita.Perì Gulì con la sua nave, salutando con  il cappello il comandante dell'Alhena , nave giunta a salvarlo.Oggi riposa nel fondo di quell'oceano che era la sua vita, il suo lavoro, il suo tutto. Un capitano vero, dunque. Mentre altri, riposano tranquillamente nelle proprie case.

giovedì 2 febbraio 2012

3 Febbraio 2012 - IL VENERDI' LETTERARIO. Oggi scriviamo di...

L'idea, era quella di viverli realmente questi venerdì ,in una delle sale conferenze di Cetraro, ma nessun sostegno, quindi ne trattiamo qui, dove finanche la percentuale di interesse è maggiore.E' tutto più semplice , tutto più pratico. Non scomodiamo nessuno, e non dobbiamo ringraziare nessuno. 
Oggi scriviamo di....vuole essere una piccola finestra che ci consente di guardare al mondo, alle sue cose, alle sue forme. Uno spaccato di sentieri che ci conducono fra le cose semplici della vita,nel percorso di chi sfugge alla "teatralità della scena" e che con l'umiltà dei semplici si avventura nella passione. Letteratura, arte, musica, cinema, tutto ciò che fa cultura ci accompagnerà in queste settimane di incontri. Attenti, non sono affatto virtuali, anzi tutt'altro; ci legheranno al filo comune dell'interesse, che grazie a questi nuovi mezzi della scienza e della tecnica, ci è consentito di arrivare dovunque.
"Il Venerdì Letterario", è il momento del sapere, del conoscere, del confronto e della conversazione. Credo sia opportuno che, in un mondo che perde valori per strada, ci sia qualcuno che tenta di salvaguardarli o meglio, di recuperarli.Domani si parte, allora. 
Chi vuole, ci segua...