mercoledì 11 gennaio 2012

I GIORNI DEL DERBY DI MILANO


Visto, o meglio,vissuto da qui, ha un altro sapore. Bè, pare proprio di si. Milano, in questi giorni, attende il suo derby, quello della "Madunina" che si erge maestosa e luminosa , nel restauro del Duomo. E' una Milano, silenziosa, una Milano, invasa da una moltitudine di razze, che lascia apparire un italiano come me, quasi straniero in terra sua. Non ci sono più biglietti, terminati tutti nella mattinata di oggi, 11 gennaio.In banca, quella preposta alla vendita, annunciano che restano solo dei biglietti, del primo anello rosso 155 euro. Li compreranno allo stadio, quelli che si decidono all'ultimo momento e che possono aprire il portafoglio. Il Meazza sarà al completo, dunque, per un derby che si annuncia fuori dal pronostico, ancor di più oggi. la piazza del Duomo, festosa come sempre, comincia ad imbandierarsi e gli africani, non certo ultimi arrivati da queste parti, mostrano sciarpe e bandiere, rigorosamente rossonerazzurre. E' la settimana del derby, la più lunga settimana sportiva qui nella città meneghina. A palazzo Reale, un paio di giorni fa, vado ad assistere ad una conferenza sulla presentazione di un libro sulla storia europea di Inter e Milan, c'era il sindaco Pisapia che non ha nascosto la sua fede nerazzurra, c'erano Cambiasso e Zambrotta. Molto fairplay, ma tensione già che si nota a distanza. Il derby è derby. Nel tram del mattino , i sussulti dei tifosi più accesi: ve ne diamo tre, ne prenderete quattro. Insomma vincono tutti. A parole. E questo derby ha un sapore ancora più forte, perchè si svolge anche nell'ambito del calciomercato Tevez all'Inter o al Milan. Che scherzi fa il destino, accende gli animi ancora di più nella settimana che vale un anno dello sport o meglio del calcio di Milano.Venerdì ,vado in sede nerazzurra a due passi dal Duomo,in fondo la mia anima è nerazzurra.E' la settimana del derby e tutto fa brodo.

domenica 1 gennaio 2012

DAL MIO LIBRO "TANTE NAVI TANTE STORIE" RACCONTI DI EMIGRATI IN ARGENTINA

Stavamo procedendo vero quella zona turistica, conosciuta come le famose “sierras cordobesas”.Le montagne cordobesi.Essendo l’ora tarda, decidemmo di fare una sosta per mangiare qualcosa, mancava tempo, prima che arrivassimo a destinazione. Così Antonio, disse: -ci fermiamo qui, a questo ristorante, è il primo che troviamo nel cammino.- Stiamo percorrendo la strada 55, che sale sulle montagne.
Più o meno, avevamo percorso una ventina di chilometri dall’aeroporto di Cordoba, quando giungemmo a La Calera, una cittadina di circa trentamila abitanti che, insieme ad altre, forma quella che viene chiamata la gran Cordoba.Era considerata come una delle prime cittadine nelle quali la borghesia cordobese, andava a trascorrere le vacanze d’estate.
“Parrilla e Restaurante”Forgione. Il nome di questo ristorante, è per noi familiare.
La parrilla in Argentina è comunemente la griglia, e indica un luogo dove si mangia carne appunto arrostita alla griglia, cotta lentamente. Secondo antiche tradizioni che si tramandano da padre in figlio.
Gestione familiare, diretta dai suoi proprietari.Parcheggiamo l’auto, non lontano dall’ingresso ed entriamo.
Ci viene incontro un signore sui trentacinque anni, con fare gentile ci lascia scegliere il posto dove accomodarci.Qualche cliente, qualche camionista di passaggio. A prima vista diciamo che è uno di quei ristoranti, dove sostano i nostri camionisti, e dove di solito si mangia bene.
-Carne?- mi chiede Antonio, che poi si rivolge ad Angelo.
-Va bene – gli indichiamo – che sia “asado” anche per oggi-
-E mi raccomando una buona insalata verde- dico al cameriere- il professor Ciampi a tavola è molto esigente e pignolo .-
Come sempre accade ,quando mangiamo in un ristorante, alla fine mi esprime il suo giudizio, quasi fosse un critico gastronomico.
E quasi mai, dice che il pranzo è perfetto. Anzi, direi mai! Un difetto lo trova sempre.
-Antò!- sussurro al nostro amico che ci accompagna- guarda un poco, quante fotografie di Padre Pio ci sono alle pareti di questo ristorante. Ho la strana sensazione, che siano meridionali i proprietari -
Il cameriere ci serve la carne, quel giorno, decidemmo per un “bife de chorizo”un pezzo dei più prelibati della carne argentina.E’ una costoletta di carne spessa da 3 a 5 cm, e non è semplice cucinarla, proprio per la sua caratteristica di essere così spessa.Di buono ha anche , che non ha grasso nella sua parte interna e normalmente, la si usa accompagnare anche con un uovo fritto messo sopra o con una insalata , al di là delle classiche “papas fritas”.
-Per essere buono – dice Antonio – deve essere non secca nella parte interna dopo la cottura. Insomma, oggi mangiamo una buona parrillada .-
Quando si mangia al ristorante fra amici è uso dire  proprio “parrillada”, mentre se si mangia in casa , più comunemente si dice “asado”.Mangiammo a sazietà questa buonissima carne , morbida e sugosa. E per dirla alla maniera dei gauchos, “ para chuparse los dedos”, per succhiarsi le dita, visto che un tempo nella pampa, i gauchos, mangiavano con le mani, i pezzi di carne cotti al fuoco.
Terminammo il pranzo, dopo circa un’ora. Sul punto di andar via, chiesi al cameriere:
-Il ristorante è italiano! Perché c’è anche la bandiera italiana sull’insegna e il cognome è inequivocabile. Perché si chiama Forgione? E’ il cognome dei proprietari?-
-Le chiamo mia madre- disse il cameriere, quasi ansioso perché conoscessimo questa signora.
Ci raggiunse presto. Si presentò, ci presentammo.
La domanda che avevo rivolto al cameriere, senza avere risposta, la rivolsi anche a sua madre.
-Perché queste foto di Padre Pio? -dissi rivolgendomi alla signora che sembrava già sicura che fosse questa la mia curiosità. 
-Noi -mi dice- siamo lontani parenti dei Forgione-
E già, il cognome di Padre Pio era proprio Forgione.
-Vi racconto una storia – disse la signora che a quel punto ci fece di nuovo sedere a tavola.
-Tanti anni fa, andai in Italia per la prima volta, volevo vedere i luoghi dei miei avi, ne avevo immenso desiderio. Il viaggio e la vacanza furono bellissimi, ma restai quasi senza soldi. All’aeroporto di Roma, al ritorno, mi resi conto che le due valige che avevo erano pesanti, piene anche di alcuni regali che avevo comprato per i miei parenti, i miei figli. La impiegata del check –in, mi disse che non potevo portare valige così pesanti e che dovevo lasciare qualcosa, non era consentito portare più peso di quanto previsto. Le dissi che avevo comprato dei regali per i miei parenti, non potevo lasciare nulla. Lei rispose, che se volevo portare quelle valige così pesanti avrei dovuto pagare una somma, che per me era ingente in , lire italiane, e che comunque io non avevo. L' impiegata fu inflessibile. Dovevo pagare o svuotare le valige per giungere al peso consentito.Ero davvero triste. 
Pensavo a quanto avevo risparmiato per comprare quei regali che rappresentavano l’Italia, che avrei portato qui in Argentina ai miei parenti ed amici. Pregustavo questo momento, ma mi sembrava che stava svanendo il desiderio.Le chiesi molte volte di lasciar passare le valige così com’erano.Niente. Tutto vano. Le mie parole non riuscirono smuoverla.Ripresi le valigie, e mi sedetti in un angolo piangendo, non sapevo che fare.
Pensavo e ripensavo a come fare, ma la soluzione era solo quella di pagare la cifra richiesta, e che io non avevo. Quindi dovevo anche far presto a svuotare le valigie e partire.Mentre ero immersa in questi pensieri, e mi asciugavo quelle lacrime.Un signore mi disse, non si preoccupi per le valige, le prendiamo noi.
Mi alzai, e mi rivolsi alla signora del check-in.Mentre mi stava convalidando il biglietto, mi girai e vidi quasi in maniera chiara un vecchio signore che trasportava le mie due valige, su di un carrello. 
Aveva una barba lunga e bianca.
Lo persi di vista. Feci il biglietto e mi avviai all’imbarco.Non sapevo che fine avessero fatto le mie valige. Non capivo cosa accadde.Il lungo viaggio per Buenos Aires, mi offrì l’occasione di pensare a quella situazione che mi era passata in aeroporto. E le mie valigie dov’erano? Erano state realmente imbarcate o le avevo perse?Le ritrovai a Buenos Aires intatte. Pesanti così come le avevo preparate, nulla era stato toccato.Non capii. O forse si, ci pensai un poco. Ebbi la risposta.Quel vecchio signore con la barba bianca e lunga. Che non conoscevo.Quel vecchio signore, che aveva il mio cognome: Forgione.-
Così parlò la signora. Francesco Forgione.:Padre Pio. Anzi, San Pio.